I Doria

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06 gennaio 2022

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I Doria


Ma, gli eventi della storia, che ormai non passava più per Melfi, imposero presto un nuovo ed ultimo cambio di padrone alla città ed al suo territorio. Si combatteva la guerra tra Francesco I e Carlo V e, durante le operazioni belliche, Melfi fu presa a cannonate dal generale francese Lautrec. Era il mese di marzo del 1528 e la città, che era difesa da Giovanni III Caracciolo, venne espugnata con gravi eccidi (perirono circa 3000 persone).

Il Caracciolo, preso prigioniero dai francesi, per salvarsi la vita, si schierò con questi. Ma gli spagnoli ripresero possesso della città e re Carlo V, dopo averla confiscata al Caracciolo traditore, il 20 dicembre 1531, per ricompensa di un reddito annuo di 6000 ducati d'oro, la concesse in feudo, con il suo vasto territorio, all'ammiraglio genovese Andrea Doria che aveva combattuto con successo per la sua causa e sostenuto le spese per l'allestimento dell'esercito, insignendolo del titolo di Principe di Melfi.

Ben presto il Doria si rese conto che il reddito annuo ritraibile dal feudo era inferiore a quello previsto e ne reclamò la differenza. Il Tribunale della Sommaria, con relazione del 27 giugno 1534, accertò il fatto e, con diploma del 27 maggio 1535, venne riconosciuto il diritto reclamato, ponendo l'indennizzo di 1500 ducati a carico delle entrate fiscali.

I Doria governavano la città ed il feudo con governatori che non avevano altro interesse se non quello di arricchirsi e non far mancare le entrate previste al principe ; ciò generava un continuo e progressivo impoverimento del territorio e dell'economia. La pressione fiscale, come la chiameremmo oggi, era elevatissima e si esercitava nella forma della tassazione indiretta sui consumi, con le varie gabelle sui beni di prima necessità, e sulla produzione e circolazione di merci, con le imposizioni sull'uso dei terreni, sulla molitura, sulla panificazione, sulla macellazione ed i dazi.

La forma diretta di imposizione era quella del focatico, una sorta di imposta sul nucleo familiare, senza riferimento alla reale capacità contributiva. I ceti più ricchi, più potenti e più vicini al principe ed al suo governatore, come i nobili ed il clero, erano esentati dal carico fiscale ed i ceti più deboli, gli unici a pagare, erano costretti ad indebitarsi od a vendersi, asservendosi ai potenti.

L'Università era costretta ad una lotta impari per difendersi dalle imposizioni del potere regio e dalle usurpazioni di demanio pubblico da parte del feudatario, sempre alla ricerca di nuovi introiti. Memorabili in tal senso furono le battaglie giuridiche del già citato Angelo Antonio della Monica.

Essa era spesso costretta ad indebitarsi con il principe per procurarsi il denaro necessario al versamento alle casse reali delle imposte che non era stato possibile riscuotere dai cittadini. Con la pratica dei prestiti, per il pagamento delle imposte, il principe incrementava le sue entrate ed il suo potere di intervento sulle decisioni dell'Università, trasformando di fatto il povero sindaco in esattore piuttosto che in amministratore.

La situazione di allora non è diversa da quella odierna che, in coincidenza delle ricorrenti scadenze, vede le banche impegnate ad offrire apposite linee di credito ai contribuenti per lo specifico scopo del pagamento delle imposte. I Doria restarono signori di Melfi fino all'eversione del sistema feudale e mantennero proprietà e latifondi fino alla riforma agraria degli anni cinquanta.

Dal 1531 in poi la città si depauperò di risorse e di capitali ; i commerci a mano a mano diminuirono e gli investimenti privati e pubblici divennero rari od inesistenti, con grave pregiudizio per la produzione di nuova ricchezza. Alle pesti ed epidemie ricorrenti dal 1497 in poi si aggiunse la grande depressione economica del XVII Secolo che coinvolse in primo luogo l'intero bacino del Mediterraneo, lasciato ormai alla mercè dei Turchi e dei Saraceni dagli Spagnoli, impegnati a mantenere il loro dominio sulle terre di oltre oceano ; ciò procurò ulteriori sfortune con il pressochè totale annullamento dei commerci e con l'ulteriore inasprimento fiscale su tutto ciò che aveva utilità economica.

L'unità d'Italia colse Melfi, come tutta la Basilicata, in uno stato di grave povertà ed isolamento. In alcune aree più interne, la vita di tutti i giorni era rimasta immutata per secoli, con i suoi ritmi scanditi dal sorgere e dal calare del sole. Ai piemontesi, alla ricerca dei briganti dispersi nella macchia del Vulture, si presentavano poveri esseri che non possedevano in proprio neanche la zappa per zappare il terreno a giornata e che vivevano nella miseria e nella paura, tormentati dal principe e dai banditi.

Presto iniziarono i flussi migratori e liberatori verso l'America latina e verso gli Stati Uniti d'America, terra promessa di quei poveri cafoni, la gran parte dei quali, non sapendo nè leggere nè scrivere, portava ricamato sul bavero della giacca il nome, cognome e luogo di destinazione.

Il resto è storia dei nostri giorni, non dissimile da quella di tutte le altre aree interne del Mezzogiorno d'Italia. La riforma agraria del secondo dopoguerra ridette parziale dignità di uomini a tanti braccianti agricoli e, per qualche decennio, restò il segno più tangibile dell'intervento del moderno Stato sociale. Gli effetti della riforma agraria, qui considerati solo sotto l'aspetto sociale, nel prosieguo di tempo, persero di significato di fronte all'evolversi del livello di generale acculturamento. I contadini e braccianti, prendendo coscienza di nuovi bisogni e della limitatezza delle risorse locali disponibili per il loro soddisfacimento, diedero vita al secondo grande flusso migratorio degli anni cinquanta e sessanta verso le città industriali del Nord Italia e del Nord Europa.

Melfi ha visto nel tempo cadere i suoi palazzi, le sue chiese e i suoi conventi sotto gli effetti del tempo e dei terremoti ; molti importanti monumenti sono scomparsi e mai più ricostruiti, salvo la Cattedrale, ormai opera settecentesca e non più normanna, con l'eccezione della torre campanaria, vero miracolo di stabilità. Le antiche mura hanno in gran parte resistito al tempo ed alla scarsa attenzione degli amministratori e notabili. Oggi il centro storico è riconoscibile nel suo impianto originario, essendosi sempre riedificato sugli antichi siti ed ad ogni angolo sono evidenti i segni di un ricco e glorioso passato. Melfi è pertanto tuttora specchio di un impianto urbanistico tipicamente medioevale, posto sulla sommità spianata di un antico cratere vulcanico.

Il suo sviluppo urbano, in area staccata dalla cinta muraria, ha contribuito a conservare quella identità ed oggi la sua pianta fa osservare una testa, costituita dal centro antico, ed un corpo formato dai nuovi insediamenti. Tuttora il suo centro amministrativo e direzionale è situato nella parte antica o subito vicino ad essa.

L'insediamento Fiat a San Nicola di Melfi rappresenta oggi un evento paragonabile a quelli che in passato risultarono decisivi per un nuovo assetto socio-economico, appunto come la riforma agraria, sia per gli effetti sull'occupazione che sull'assetto urbanistico dell'intera area del Vulture.

L'illustrazione della storia della città fin qui fatta, oltre che corrispondere all'esigenza di delineare un quadro di riferimento il più completo possibile per l'argomento oggetto di indagine, corrisponde anche all'esigenza di rendere sempre comprensibili i confronti qualitativi e quantitativi dei dati che si andranno ad esaminare.

 

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Ultimo aggiornamento: 06 gennaio 2022, 17:34

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